Lo strano destino dei Watson
(questa recensione è stata pubblicata per la prima volta il 25 luglio 2012 su Old Friends & New Fancies)
Due sono i romanzi incompiuti di Jane Austen. Uno è Sanditon, iniziato nel gennaio 1817 ed interrotto meno di due mesi dopo per cause di forza maggiore essendo sopravvenuta prima la malattia e poi la morte della sua ancor giovane e geniale Autrice.
L'altro è appunto questo I Watson (The Watsons) il cui destino è anomalo nella produzione austeniana, almeno considerando i romanzi cosiddetti "canonici".
Iniziato intorno al 1803 e proseguito con non poche difficoltà, viene interrotto nel 1805 e messo da parte senza mai più essere ripreso. Se si considera che dal 1809, anno dell'insediamento definitivo nella quiete ispiratrice di Chawton, Jane riprese e revisionò alcune opere già scritte dando loro una versione definitiva, (Ragione e Sentimento, Orgoglio e Pregiudizio e persino il giovanissimo L'Abbazia di Northanger), la defezione dei Watson appare evidente.
Non sapremo mai le ragioni per cui Jane decise di abbandonare questa sua creatura senza mai darle una seconda possibilità.
Personalmente, tendo ad associarmi a coloro che ritengono determinanti gli eventi che caratterizzarono la sua vita in quegli anni: l'improvviso trasferimento a Bath, voluto dai genitori, in un città che Jane non apprezza; ma soprattutto, l'improvvisa malattia e morte di suo padre (1805), che getta nello sconforto lei, sua sorella Cassandra e la madre e che apre un periodo buio, irto di difficoltà economiche e di sistemazioni di fortuna, in cui le tre donne vivono della carità dei fratelli. Fino a Chawton, nel 1809, appunto.
I Watson appartiene a tutto questo e, pur senza alcuna prova appurata, ho sempre pensato che riprenderlo significasse per Jane riaprire un capitolo troppo doloroso che nemmeno le gioie della scrittura avrebbero potuto stemperare, soprattutto se si pensa che il padre della protagonista appare fin dalle prime pagine gravemente malato. Inoltre, alcuni spunti e personaggi sono stati "riciclati" per gli scritti successivi, come a confermare che per Jane I Watson era definitivamente abbandonato.
Nonostante ciò, oggi noi sappiamo che cosa ne avrebbe fatto, Jane, di questi derelitti Watson, se avesse voluto dare loro un senso compiuto. Ce lo ha svelato nel 1871 il nipote James Edward Austen-Leigh, nella famosa biografia Ricordo di Jane Austen (Memoir of Jane Austen), nella quale pubblicò questo frammento dandogli anche il titolo che non aveva mai avuto:
Quando la sorella dell'autrice, Cassandra, mostrò il manoscritto di questo lavoro a qualcuna delle sue nipoti, disse loro anche qualcosa sul seguito della storia, dato che con questa cara sorella - anche se, credo, con nessun altro - sembra che Jane abbia parlato liberamente di ogni lavoro che avesse tra le mani. Mr. Watson sarebbe morto presto e Emma costretta a dipendere per una casa dalla meschinità del fratello e della cognata. Avrebbe rifiutato la proposta di matrimonio di Lord Osborne, e molto dell'interesse del racconto sarebbe derivato dall'amore di Lady Osborne per Mr. Howard, innamorato invece di Emma, che alla fine avrebbe sposato. (trad. di Giuseppe Ierolli)
Chi volesse completarne la stesura dovrebbe tener conto di ciò anche se, a ben guardare, è un canovaccio ben scarno che contiene solo l'inevitabile lieto fine.
Nel 1996, Joan Aiken prova a completare l'opera di Jane Austen, con Emma Watson, ora tradotto in italiano dalla casa editrice TEA. Le note di copertina di questa edizione giustamente definiscono Mrs. Aiken prolifica ed eclettica perché, oltre ai tanti libri per bambini e ragazzi, da vera appassionata di Jane Austen si cimentò con ben sei derivati, tra cui Eliza's Daughter (che abbiamo letto con le Lizzies nel salotto di Old Friends & New Fancies lo scorso anno per il bicentenario di Ragione e Sentimento).
Ma l'encomiabile sforzo di questa scrittrice, grande ammiratrice di Jane Austen, non mi sembra particolarmente ben riuscito.
Il manoscritto di The Watsons conservato alla Bodleian Library |
Fin dalle prime pagine, è evidente come tutti i personaggi siano caratterizzati in modo più estremo rispetto all'originale: ad esempio, le due sorelle più pestifere, Penelope e Margaret, ricordano molto le due sorellastre di Cenerentola per quanto sono bisbetiche e viziate. Ma per alcuni dei "veterani" interviene un cambiamento radicale.
La trasformazione scelta dall'autrice per Emma è molto netta e spiazzante: la giovane Watson appare fin troppo schietta, dice un po' troppo spesso ciò che pensa, è troppo sarcastica e mai ironica.
In più occasioni, Joan Aiken le fa pensare e persino dire parole che l'Emma Watson austeniana non si sarebbe nemmeno sognata, soprattutto se si pensa che anche in questo seguito viene più volte sottolineato che la giovane ha un'educazione raffinata.
Lo stesso trattamento di totale revisione è riservato anche alla sorella, Elizabeth, che sembra addirittura un altro personaggio. Il buon senso ed il senso pratico dell'originale austeniano vengono portati alle estreme conseguenze così che Elizabeth appare laconica più nei sentimenti e nei pensieri che nelle parole (che quando vengono dette sono comunque lapidarie).
Si potrebbe dire che le due sorelle qui sembrano essere una versione più estrema ed essenziale rispettivamente di Marianne ed Elinor in Ragione e Sentimento...
(e quante altre suggestioni da questo romanzo!, ad esempio: il fratello Robert che, superficiale e gretto, sembra un emulo di John Dashwood, e sua moglie Jane, ancora più avida del marito, che sembra proprio una Fanny Dashwood all'ennesima potenza).
Harriet Walter e James Fleet (Fanny e John Dashwood, Sense and Sensibility 1995) |
Un esempio eloquente di cambiamento è Mr. Howard. A colpirmi non è tanto la scelta di un suo destino diverso da quello tracciato da Jane Austen (secondo quanto riferitoci nel Memoir) quanto il diverso carattere. Qui appare addirittura codardo, incapace di staccarsi dal senso comune e dagli schemi sociali, nonostante un affetto sincero per Emma.
Tenendo conto di ciò che già conoscevo di Mrs. Aiken grazie alla lettura del suo Eliza's Daughter, posso dire che da questo romanzo mi aspettavo, sì, una rivisitazione dei personaggi ma non così radicale. Poco importa se Mrs. Aiken sceglie di disobbedire al Memoir disegnando una sorte diversa per Mr. Howard. Ma è un peccato che il personaggio di nuova creazione che prende il suo posto (il Cap. Freemantle) sia poco visibile, tanto che il suo rapporto con Emma è talmente poco raccontato da sembrare quasi inconsistente e poco credibile.
Un altro aspetto che colpisce molto durante la lettura è l'andamento del ritmo narrativo.
Dapprima, per ben 5 capitoli, è quieto, focalizzato essenzialmente sulla presentazione dei personaggi. Poi, al capitolo 6 (quasi a metà dei 14 totali) arriva un ciclone che scompagina la calma piatta della vita dei Watson e che addirittura, per il susseguirsi così repentino di avvenimenti importanti, sembra quasi frettoloso, come se l'autrice avesse voglia di liquidare velocemente questi fatti per catapultarci nelle immediate conseguenze. Peccato perché in questo modo sembra che gli eventi non producano alcun pensiero, alcuna reazione nei personaggi, che a questo punto ci appaiono come poco profondi (il che è un grave peccato austeniano!).
Da questo momento, però, prende corpo un'atmosfera che rende omaggio a quel gioiellino spesso dimenticato o sottovalutato di Jane Austen, L'Abbazia di Northanger (Northanger Abbey).
Se l'entrata in scena del Cap. Freemantle (cap. 5) ha portato con sé un vago accenno all'ironia allegramente arguta di Henry Tilney, al capitolo 7 assistiamo al dispiegamento di tutti gli elementi gotici.
Clissocks, la residenza di Penelope Watson e del marito Dott. Harding, è descritta come "un labirinto di vecchi ambienti inutilizzati" con "stanzette umide e buie" "in apparenza tanto antiche che non era difficile immaginarle occupate da guerrieri sassoni" e persino il cortile ha il suo bravo pozzo ed i giardini sono in generale "in condizioni di abbandono assoluto".
Inevitabilmente, il pensiero della protagonista va proprio ai romanzi che la stessa Jane Austen conosceva bene, come I misteri di Udolpho.
All'atmosfera gotica contribuisce l'ignoto destino toccato in sorte alla zia di Emma, nonché un misterioso avvistamento notturno da parte della giovane, o la sistemazione di Emma ed Elizabeth in una vera e propria soffitta (fredda, polverosa e poco illuminata, voluta dalla pestifera sorella Penelope che le relega al ruolo di vere e proprie serve - il che ci ricorda un'altra protagonista austeniana, Fanny Price di Mansfield Park).
Tuttavia, in questo Emma Watson (del 1996) l'arte narrativa e la scrittura stessa di Mrs.Aiken appaiono un po' appannate rispetto a Eliza's Daughter (di due anni prima, 1994). Soprattutto, non ritrovo la sua capacità, davvero notevole, di ricreare l'ambiente culturale dell'epoca.
Addirittura, ho notato un errore eclatante. Mr Howard parlando con Emma dice (pag 201):
Al funerale, tra i vostri famigliari, non ho potuto neppure tentare di conversare in privato con voi.
All'epoca, però, le donne non potevano partecipare ai funerali: solo gli uomini potevano farlo, mentre le donne dovevano restare a casa ad aspettare (atroce segno della condizione femminile di quei tempi, per cui la mente femminile era considerata del tutto adeguata ad assistere un malato fino all'agonia della morte ma troppo fragile per vederlo seppellire).
Per avere un quadro della consuetudine dell'epoca, basta leggere la toccante lettera che Cassandra Austen scrive alla nipote Fanny Knight il 29 luglio 1817, raccontandole i momenti del funerale e della sepoltura della cara sorella Jane, avvenuti 5 giorni prima e vissuti da lontano, nell'appartamento di College Street, a Winchester.
La copertina dell'edizione in inglese |
In conclusione, è innegabile che l'ispirazione di Joan Aiken sia direttamente alimentata dall'intera opera austeniana, con grande piacere per chi legge, ma è altrettanto vero che tende ad allontanarsi notevolmente dall'originale austeniano di cui ha creato il seguito. Ma se in Eliza's Daughter glielo avevo perdonato perché ampiamente compensato dal piacere di leggere un romanzo molto ben costruito sotto ogni punto di vista, con elementi che ricordano anche i romanzi di Dickens e di Elizabeth Gaskell, non posso dire lo stesso per questo Emma Watson che, anzi, sembra piuttosto una bella occasione un po' sprecata.
Complessivamente, anche senza considerare altri scritti di questa autrice, Emma Watsonè una lettura interessante per chi vuole scoprire il mondo dei derivati austeniani e, in particolare, togliersi la curiosità su una delle possibili varianti con cui I Watson avrebbe potuto finire, ma alla fine non si riesce a fare a meno di sentirsi un po' delusi.
Mentre è encomiabile l'edizione italiana di TEA che mette insieme l'originale incompiuto di Jane Austen, I Watson, la conclusione di Joan Aiken, Emma Watson, uno di seguito all'altro, ed un corredo di note molto utili.
Questo è il primo romanzo austeniano di Mrs. Aiken ad essere tradotto in italiano dando così anche a chi non legge l'inglese la possibilità di aggiungere un tassello a questo variegato mosaico del fortunato filone della letteratura del nostro tempo, gli Austen inspired novels (romanzi di ispirazione austeniana).
Non posso che sperare che presto si aggiungano altri titoli, e non solo di questa autrice.
(un suggerimento:Mr Darcy's Diary, di Amanda Grange, scrittrice già presente nel catalogo TEA con un romanzo dimenticabilissimo, Mr Darcy Vampyre, mentre questo diario meriterebbe decisamente di essere tradotto, senza considerare l'imminente 200° compleanno di P&P...)
Link Utili:
- recensione di Eliza's Daughter (sequel di Ragione e Sentimento)